sabato 26 gennaio 2008

Cosenza: siamo tutti sotto processo


Il processo presso la Corte d’Assise di Cosenza sta per imboccare l’ultimo, definitivo bordo che lo porterà al pronunciamento della sentenza: il pm Fiordalisi chiede mezzo secolo di reclusione.
Sono trascorsi più di cinque anni da quella notte del novembre 2002, quando venti persone vengono catturate con grande clamore mediatico da reparti speciali travisati e immediatamente assegnate al regime carcerario duro dell’ art. 41 bis. Altre cinque agli arresti domiciliari, quarantatre gli indagati.
E’ il coronamento di uno spregiudicato lavoro del Ros, il Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri, comandato dal generale Ganzer. Un dossier di più di mille pagine approntato dopo le giornate di Genova 2001, proposto senza successo alle procure di Genova, Torino e Napoli prima di trovare finalmente accoglienza a Cosenza presso il pm Fiordalisi e il gip Plastina. E’ un teorema "vecchia maniera": gli investigatori intercettano, spiano, osservano, pedinano, si infiltrano, estrapolano da scritti e siti telematici e in assenza di contraddittorio acconciano come vogliono cose, frasi, dialoghi, eventi, luoghi edificando una parvenza di coerenza induttiva fino a supportare la sussistenza di reati associativi.
Gli ordini di cattura sono pronti già dai primi di agosto, ma si continua a spiare e intercettare (non si sa in forza di quale legittimità formale) in attesa del Forum Sociale Europeo di Firenze e degli scenari suggeriti dal presidente del Consiglio ("ci saranno sicuramente devastazioni") e dal ministro dell’Interno ("garantiremo l’ordine, ma non sappiamo a quale prezzo"): quale miglior fondale per un’operazione che deve avere il sapore dell’ antiterrorismo?

Purtroppo per gli strateghi dell’inchiesta Firenze è "solo" un’imponente, massiccia occasione di partecipazione democratica, così il 6 novembre si firma un’ordinanza di custodia cautelare di 360 pagine e il 15 si effettuano le catture. I reati contestati hanno un sapore borbonico, ma prevedono pene da 5 a15 anni di reclusione: associazione sovversiva, cospirazione politica mediante associazione, propaganda sovversiva e altri minori dello stesso paniere. Gli imputati sono in sintesi accusati di aver costituito una rete omogenea che avrebbe governato gli scontri del 2001 prima a Napoli in marzo e poi a Genova in luglio. Lo stile ricalca quello cabalistico del Ros: gli indagati sono soggetti che (pag. 128) "accarezzano l’idea di sfruttare la forma anomica del movimento per riattualizzare la lotta armata storicamente fallita". Il che legittimerebbe il carcere anche senza che un delitto, una violenza, un’aggressione o un attentato vengano contestati a chicchessia: l’associazione sovversiva è finalizzata a "stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente gli ordinamenti economici e sociali costituiti nello Stato". Ma nella sua requisitoria contro i tredici imputati il pubblico ministero Fiordalisi ha fatto di tutto per smarcarsi dalla rozzezza del materiale accusatorio originario e suggestionare la giuria popolare a sostegno delle richieste di pena da due a sei anni di reclusione.

Il processo di Cosenza quindi come immagine speculare di quello di Genova appena concluso.
A Genova l’ordine pubblico, i fatti-reato, le responsabilità individuali di un pugno di attivisti a fronte dei trecentomila che contestarono la legittimità del G8. La sperimentazione di nuove fattispecie accusatorie quali devastazione e saccheggio e compartimentazione psichica. Lo slittamento inarrestabile verso la prescrizione di tutti i procedimenti penali che riguardano le forze di polizia. L’omicidio di Carlo archiviato a tempo di record. L’occultamento bipartisan delle responsabilità della catena di comando.
A Cosenza la riesumazione di dispositivi di criminalizzazione che si ritenevano esauriti nella stagione giudiziaria degli anni ’80.
Il ripristino di categorie giuridiche utilizzate in un’epoca in cui la radicalità del conflitto esprimeva scenari e aggregazioni che nulla hanno a che vedere con ciò che si è dato nelle strade e nelle piazze di Napoli e Genova sette anni fa. La riattribuzione di credibilità a uno stile investigativo connotato da abusi, forzature e falsificazioni che solo il clima emergenziale di trent’anni fa aveva reso tollerabile. Il vecchio e il nuovo.

A Cosenza dunque, come a Genova, siamo tutti sotto processo, mentre sul banco degli imputati dovrebbero sedere poliziotti, carabinieri, finanzieri e secondini: gli unici responsabili della turbativa dell’ordine pubblico e delle violenze di inaudita ferocia che ne sono seguite.
Sotto processo sono i movimenti nelle loro pratiche di aggregazione per il conseguimento di obiettivi comuni. Sono le lotte per una migliore qualità della vita, le vertenze locali e nazionali, il diritto di resistenza all’abuso della forza repressiva, le pratiche di difesa dei diritti umani, sociali, politici, ambientali, contro la guerra e tutte le aggressioni armate comunque camuffate. E’ quel patrimonio di esperienze che, da Seattle in avanti, ha sedimentato elementi paradigmatici che innervano il conflitto sociale proprio di tutti i quadranti del territorio Europa. E’ il desiderio di cambiamento che, ognuno con le proprie diversità, ci accomuna tutti.
Attraverso l’armamentario più vieto della giustizia penale sotto processo è il nostro futuro. A Cosenza dunque. Tutti.
Liberitutti

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